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I desideri sono i fior dei vivi

Suor Angelica, il ‘piccolo’ capolavoro del 1917

Pubblicato il 21/05/2024

Il 1924 è anno pucciniano (si celebra il centenario della morte del maestro lucchese) e per l'occasione arriva sul palco dell'Auditorium una delle opere più delicate di Giacomo Puccini, Suor Angelica. L'opportunità è ghiotta per raccontare il mondo che si cela dietro al 'piccolo' mondo di Puccini. 
Dei tre atti che compongono il Trittico di Puccini (composto da Il Tabarro, Suor Angelica appunto e Gianni Schicchi), Suor Angelica rappresenta allo stesso tempo quello più amato dal suo autore, ma più sacrificato dai teatri. La premiere del Trittico si ebbe il 4 dicembre del 1918, al Metropolitan di New York.

L’accoglienza fu senz’ombra di dubbio buona: incontrastato il successo di Gianni Schicchi; con qualche riserva gli applausi concessi al Tabarro e a Suor Angelica. Il Maestro, complice il timore del pericolo che la presenza di mine inesplose – resti del primo conflitto mondiale – avrebbe comportato nella tratta transatlantica da percorrere per giungere a New York, non presenziò alla prima assoluta, ma non mancò alla prima italiana, che avvenne al Teatro Costanzi di Roma l’11 gennaio del 1919. L’allora impresario del Teatro, Emma Carelli (ricordata per le indimenticabili stagioni da lei ideate, sia per pregio di cast che per scelta di repertorio) non esitò certo a mettere sul palco una beneamata di Puccini: Ermenegilda Dalla Rizza.

Già apprezzatissima per l’interpretazione che diede nella Rondine, la Dalla Rizza rese memorabile la sera della Prima, prendendo parte al Gianni Schicchi nel ruolo di Lauretta, e interpretando il ruolo di protagonista in Suor Angelica, ottenendo un travolgente successo di pubblico e di critica, riuscendo a passare agilmente dalla cupa, lacerante disperazione di Suor Angelica al lirismo candido, quasi adolescente di Lauretta.

Anni dopo, Augusto Carelli, fratello di Emma, presente all’esecuzione, ricorderà come: “Forse anche quest’atto di Puccini è sparito dalla circolazione per la mancanza di un soprano capace di resistere a quel martellare di urli della straziata monachella. In quella parte la Dalla Rizza è rimasta inimitabile”. 
La sera della prima romana, però, non tutti rimasero entusiasti del lavoro che Puccini aveva presentato, e tra coloro i quali mostrarono delle riserve – neanche troppo velate – vi fu niente di meno che Toscanini, lo stesso che, nel 1922, si rifiutò di dirigere la prima milanese del Trittico, passando la bacchetta a Ettore Panizza.

Per Puccini questa fu una ferita non di poco conto: da una parte, si sentiva offeso a livello personale, poiché, memore dell’esperienza della Butterfly alla Scala, aveva implorato l’amico Toscanini di dirigere la sua Opera in tre atti per darle luce maggiore; dall’altro, a livello professionale malvolentieri riuscì a digerire una critica da una così autorevole personalità. I rancori tra i due, però, in breve tempo andarono risolvendosi, e nonostante la mancanza di Toscanini sul podio, anche a Milano l’Opera ebbe un esito non nefasto come lo ebbe la Butterfly.

l Trittico non riuscì però ad imporsi come opera unitaria nel repertorio, e per la maggior parte degli anni a venire, i singoli atti che la compongono vennero usati per essere affiancati ad altre opere brevi o a balletti; basti solo pensare a come, dal 1920 al 1975, al Metropolitan non si ebbe mai l’esecuzione di tutti e tre gli atti nella stessa sera. Ma, quali che siano stati i veri motivi per cui, in un primo momento, Suor Angelica sia passata in secondo piano nella produzione pucciniana, quest’opera in un atto ha parzialmente riacquistato l’attenzione che merita. 

Pervasa da un’aura mistica, intrisa di una ingenua, ma pura e solida religiosità, Suor Angelica rappresenta un
piccolo gioiello nella produzione Pucciniana; un’opera tanto semplice quanto grande è il sentimento che in
questa è riversato

 Già la sua genesi non era stata del tutto lineare: nell’ideazione del Trittico, l’autore sapeva
bene che tra lo Schicchi e il Tabarro sarebbe stato necessario inserire un atto di “meditazione”. Il soggetto ideale, però, tardava a presentarsi. L’occasione si ebbe solo quando l’attenzione del Maestro venne fatta convergere su di un lavoro di Gioacchino Forzano, il cui soggetto (appunto, Suor Angelica) piacque moltissimo a Puccini, e il finale in cui la suora beve il succo di erbe velenose per rivedere in cielo il figlio lo commosse sì
da chiedere immediatamente al Forzano di scrivere i versi, per poi precipitarsi a Milano a raccontare a Ricordi del progetto. 

Il 3 marzo del 1917, Forzano scrisse a Ricordi: Il Maestro ha trovato degli accenti così semplici,
così nobili, così chiaramente… francescani, tali che il lavoro più felice inizio non potrebbe avere. 

Le sonorità religiose, l’aura mistica della clausura 
erano temi non affatto alieni nell’animo di Puccini.

Seppur forse non il migliore dei cristiani, o il più fervente dei credenti, l’ambiente fortemente Cattolico in cui era cresciuto gli aveva lasciato in seno dei retaggi non trascurabili. 

Proveniente da una famiglia che per quattro generazioni aveva mantenuto il titolo di Maestro di Cappella nel Duomo di Lucca, Puccini venne iniziato fin dalla giovane età allo studio della tastiera e del canto corale. Più avanti, poi, l’amata sorella Iginia divenne Madre superiora del Convento delle Monache Agostiniane a Vicopelago di Lucca, le cui mura, ben conosciute dal Maestro, divennero di ispirazione per Suor Angelica. Leggenda vuole che, tra le numerose visite che Puccini faceva alla sorella, ci fu anche l’occasione per far ascoltare in anteprima al convento l’opera compiuta: con grande commozione di tutte le Sorelle, che rimasero piacevolmente colpite dal sentimento puramente monacale che da questa emergeva.

Da ultimo, ma non meno importante, ad alimentare l’aura di sacralità di Suor Angelica, ci fu anche il supporto che per la stesura di quest’Opera venne dal Padre spirituale di Puccini: Don Pietro Panichelli. 
Fu a lui che il Maestro si rivolse per trovare i giusti versi in latino da inserire nelle litanie che si sarebbero udite nel momento del miracolo che avrebbe avuto luogo nel finale dell’atto. E dopo due mesi, i versi giunsero da Padre Panichelli, a cui Puccini rispose: “Bravo Prete! L’hai proprio indovinata. È quello che cercavo e che fa per me!”
E così andò in scena la prima, ma, come per molte delle opere di Puccini, la composizione di Suor Angelica non terminò certo dopo la premiere, sicché già solo dalla prima di New York a quella di Roma ci fu una non indifferente modifica: l’aggiunta dell’aria Senza mamma, che sarebbe poi andata ad essere la più celebre di tutto l’atto.
"Scrivo un'opera claustrale o monacale. Mi occorrono dunque diverse parole latine ad hoc. La mia scienza non arriva fino… al cielo vostro". Questo era ciò che andava scrivendo Puccini a Padre Panichelli. Claustrale e monacale, certamente per soggetto e ambientazione, ma solo in parte per animo. Ben più ardenti sono i sentimenti che Suor Angelica, per sette anni, cerca di reprimere, ma che nel giro di poche ore, in un sol giorno, la portano a compiere per amore il passo più estremo. Di lacerante verismo è intrisa quest’opera, e non c’è da stupirsi se fu proprio grazie ad una grande tragedienne come la Dalla Rizza che vennero scossi gli animi dei presenti al Costanzi la sera della Prima. Puccini era maniacalmente attaccato alla resa scenica del suo lavoro: dalla riproduzione del chiostro, fino al cambio di colore dell’acqua della fontana colpita da un raggio di sole; tutto doveva per lui rispecchiare acribicamente il piccolo mondo che aveva creato. Ma se da una parte Suor Angelica si presenta come un’opera nella quale la resa scenica e la pateticità attoriale possono e devono essere esasperati ai massimi livelli, dall’altra si presta altrettanto per essere fruita in modo più intimo e raccolto. La musica, fin dalle prime battute, è essa stessa sufficiente per evocare in ciascun ascoltatore le sensazioni necessarie per trasportarlo in un ambiente concluso, intriso di profonda e genuina religiosità, e sempre la musica sarà da sola in grado di sottolineare gli aspetti caratteriali di tutti i personaggi e, in particolar modo per la protagonista, i repentini mutamenti d’animo.

L’esperienza di poter ascoltare Suor Angelica in forma di concerto è sicuramente una immancabile occasione per poter entrare a pieno, battuta dopo battuta, nell’Opera del Maestro, senza artifici, senza stimoli altri se non quelli della musica pura; un’occasione per chiudere gli occhi, ascoltare, e creare in ciascuno di noi il piccolo mondo dal quale la “monachella” verrà salvata dalla bontà della Vergine.

Marco G. Calderara

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