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La Divina Commedia e Gustave Dorè

Pubblicato il 01/02/2023

Nessun artista avrebbe potuto illustrare Dante meglio di Doré. Oltre al talento composito e grafico… possiede occhio visionario di cui parla il poeta, capace di svelare l’aspetto segreto e singolare della natura. Riconosce nelle cose il lato bizzarro, fantastico e misterioso… La sua matita vertiginosa […] crea quelle impercettibili deviazioni che conferiscono all’uomo l’aspetto spaventoso dello spettro, all’albero sembianze umane, alle radici il contorcimento dei serpenti, alle piante le biforcazioni inquietanti della mandragora, alle nubi forme ambigue e cangianti […] questi disegni sono composizioni così ampie e ricche da trasformarsi senza difficoltà in quadri storici.

Così scriveva Theophile Gautier in una recensione del volume del 1861 curato da Gustave Doré dedicato alla Divina Commedia.

Il testo illustrato da Dorè presenta diverse xilografie per ogni cantico della Commedia, inizialmente realizzato solo con tavole rappresentanti l’Inferno, a causa di ragioni economiche dettate da vicende editoriali, negli anni successivi fu completato anche con rappresentazioni del Purgatorio e del Paradiso.
Forte era in quel periodo l’interesse per l’opera dantesca; infatti già a partire dal Settecento, in Francia, si iniziò a sviluppare una sempre crescente attenzione per la figura del poeta e per alcuni passaggi della sua Commedia, in particolare per gli episodi di Paolo e Francesca (Inferno, canto V) e del conte Ugolino (Inferno, canto XXXIII). 
Quest’interesse cresce enormemente nell’Ottocento dove assistiamo a numerose traduzioni e studi critici dell’opera, oltre a, naturalmente, numerose opere artistiche a essa ispirate.
Al grande incisore, autore delle 135 xilografie riguardanti il viaggio dantesco, viene oggi riconosciuto il merito di essere uno dei principali creatori dell’immaginario collettivo legato alla Divina Commedia, fino ad arrivare ad occupare un ruolo di spicco nella cultura visiva del XIX secolo, dettando le basi della fumettistica e della ripresa cinematografica.

Questo primato è da attribuire oltre che alla sua grande maestria come illustratore anche all’incredibile diffusione che la sua opera ebbe sia in Europa che negli Stati Uniti, complice anche i temi riportati, tra cui il viaggio inteso come crescita personale e ricerca interiore, unito al grande fascino che il passato esercitava sulla contemporaneità.

A guidare l’artista nelle sue illustrazioni sono il suo estro, egli, infatti, si fa trasportare dagli episodi che più coinvolgono la sua fantasia e dalla fama legata ai personaggi. Le tavole, realizzate grazie alla tecnica di incisione chiamata xilografia, si presentano in bianco e nero e vengono considerate come la perfetta unione tra la grande abilità rappresentativa di Dorè e la profonda immaginazione visiva di Alighieri
Molti erano i personaggi della Commedia ampiamente già noti al pubblico: i precedentemente citati Paolo e Francesca, e il conte Ugolino ma anche figure come Taide (Inferno, XVIII) e Mirra (Inferno, XXX). Questo atteggiamento porta però, inevitabilmente, a dare particolare attenzione a situazioni e personaggi appartenenti ai canti dell’Inferno, a cui sono dedicate in media più di due tavole per canto, per un totale di settantasei disegni. Di conseguenza arriviamo a comprendere perché nella sua opera sono presenti dei vuoti che ci appaiono sorprendenti, come per esempio: l’assenza di Ulisse quando Virgilio mostra a Dante le fiammelle dei consiglieri fraudolenti, oppure la mancanza di Cavalcante Cavalcanti nella sola tavola riservata a Farinata degli Uberti. Inoltre non mancano “tradimenti” al testo originario con l’intento di accrescere l’efficacia della rappresentazione, come la figura del Minotauro che è raffigurato con corpo umano e testa di toro; oppure Gerione che sfoggia ali di drago, assenti nella sua descrizione all’interno della Commedia e infine Lucifero che viene mostrato, in maniera quasi semplicistica, con un'unica faccia e non con i suoi caratteristici tre volti intenti a divorare Giuda, Bruto e Cassio.
Un’altra caratteristica tipica di quest’opera è l’interpretazione grafica d’immediata suggestione, da ricondurre alle tendenze artistiche diffuse, nel contesto europeo, nel XIX Secolo, ovvero il Romanticismo. Dorè infatti utilizza una tecnica che enfatizza i chiaro scuri, e che grazie all’utilizzo del bianco e nero è capace di coinvolgere emotivamente colui che la osserva. Questa attenzione per i toni è ben visibile nella tripartizione dell’opera. Infatti, i colori prevalenti nelle raffigurazioni dell’Inferno sono toni scuri, tendenti al nero, mentre per il Purgatorio vedremo una vicinanza maggiore al grigio e, infine, per il Paradiso una predilezione per i toni molto chiari.
Il periodo non è funzionale solo a comprendere la tendenza artistica ma anche per capire il contesto culturale che stava maturando in quel periodo in Europa e in particolare in Italia. Non a caso l’uscita del primo volume dell’opera è nel 1861, data dell’unità d’Italia ad opera dei Savoia.
La nazionalità francese di Gustave Dorè ci suggerisce però che non ci fosse una reale ragione politica a guidare la realizzazione dell’opera, ma questo non ne diminuisce la carica ideologica. L’Italia ottocentesca era fortemente animata dall’esigenza di definire un’identità sia nazionale che linguistica che venne iniziata proprio da Dante, condotta da Manzoni nel XIX secolo e infine conclusa dalla televisione verso la metà del 1900. Proprio per questo numerosi erano i rifermenti ai grandi precursori di questa unità, coloro che poi in seguito saranno identificati come i caposaldi della cultura italiana, come per esempio Petrarca, Macchiavelli e ovviamente lo stesso Dante. Ad accrescere questa argomentazione sicuramente è la presenza della Divina Commedia di Dorè all’interno della biblioteca privata di Giuseppe Garibaldi a Caprera.
Gustave Dorè però non fu l’unico artista a dedicare la propria produzione artistica alla Commedia, un altro tra i più importanti artisti a dedicarsi a questo caposaldo della letteratura fu William Blake, giungendo, secondo il critico d’arte Fortunato Bellonzi, al «massimo monumento iconografico dantesco dell’età moderna». Egli fu definito un «utopista socialrivoluzionario, mistico esoterico e profeta visionario» (Sebastian Schutze) e considerato una figura particolarmente eccentrica.
Icona dei romantici intendeva l’arte come perenne ricerca dell’immaginario, del sovrannaturale e del mistico, non a caso tutte tendenze in netta opposizione al pensiero della ragione come elemento organizzatore e dominante di stampo illuminista. Egli identifica l’artista come responsabile del compito di risvegliare l’umanità, riavvicinandola alla sua condizione ‘divina’ e quindi ad una, ideologica, riconquista del Paradiso. Un Paradiso inteso, però, non come uno spazio ultraterreno ma come una condizione interiore, a cui è possibile ricongiungersi solo attraverso l’immaginazione. Vediamo quindi che uno degli elementi principali che accomuna l’artista inglese ad Alighieri è proprio la ricerca della spiritualità perduta che ha come obbiettivo ultimo il rinnovamento spirituale.
A differenza di quanto visto per l’artista francese, Blake attua un’interpretazione visionaria e assolutamente autonoma della Commedia, svincolata quindi dalla ricerca della fedeltà al testo dantesco, cercando quindi di restituire al poema trecentesco una dimensione universale e trascendente, eliminando di conseguenza gli elementi mondani e politici contingenti alla situazione dell’epoca.

Giacomo Bertotti

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